Applicazioni cliniche delle tecniche psicofisiche. II. La sensibilità al contrasto

Claudio Rosa, CO, OD

 

 

Il contrasto è la differenza di luminanza di un oggetto rispetto allo sfondo e la sensibilità al contrasto è la capacità di apprezzare questa differenza: stimarne la soglia è di aiuto alla diagnosi e al monitoraggio di malattie oculari oltre che necessario per valutare la qualità della visione.

Sebbene nella pratica oftalmologica sia consueto stimare la sola soglia di acuità visiva ad alto contrasto, la discriminazione di figure a basso contrasto è complementare alla percezione del dettaglio. Nel contesto quotidiano si pensi alla guida, in cui il contrasto tra veicoli, ostacoli, pedoni e sfondo si riduce in caso di nebbia. In ambito patologico invece diverse condizioni possono degradare selettivamente la sensibilità al contrasto, lasciando intatta l’acuità visiva.

A questa forma di contrasto, definita contrasto spaziale, si aggiunge il contrasto temporale ovvero la differenza di segnali che giungono al sistema visivo in tempi ravvicinati. La sensibilità al contrasto temporale è indagata in termini di frequenza critica di fusione, utile per accertare l’integrità del sistema magnocellulare, deputato alla percezione del movimento.

La stima della sensibilità al contrasto si avvale di test che prevedono metodi di risposta del tipo si/no oppure a scelta forzata alternata accoppiati a procedure psicofisiche adattative o non adattative.

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